Dai un’occhiata a come la maggior parte dei dottorandi trascorre l’estate secondo PhDComics…E sì, la maggior parte dei PhD si riconoscerà pienamente!
Sai che l’estate sta arrivando anche in accademia quando ricevi quella mail apparentemente innocua dalla tua supervisor:
“Hai mai pensato di partecipare a una Summer School?”
Ed ecco che scatta il panico esistenziale.
Su Reddit, nella sezione r/AskAcademia, un dottorando al secondo anno lo dice senza tanti giri di parole:
“Il mio supervisor mi consiglia di partecipare a una Summer School. Che devo fare?”
Sembra l’incipit di una sitcom accademica: “Episodio 4 – Il ritorno del Supervisor.”
Ma ciò che inizia come confusione e ansia si trasforma presto in un flusso di commenti rassicuranti e pieni di possibilità.
Le Summer School potrebbero sembrare campi estivi per adulti affetti da Sindrome dell’Impostore, ma in realtà sono uno dei segreti meglio custoditi per sopravvivere (e crescere) durante il dottorato.
Vediamo perché, e come scegliere con cura.
Una Summer School non è mai solo una “formazione”. È uno spazio liminale, un ripiegamento di geografie, identità e discipline—un’interruzione curata nella linearità della vita dottorale.
Ma come navigare in questo assemblaggio di intensità senza perdersi nella performatività della produttività?
Ecco cinque coordinate—non regole fisse, ma provocazioni—per orientarti.
Chiedersi “In cosa devo crescere?” presuppone già una certa idea teleologica dello sviluppo. Ma in accademia, la crescita è meno una scala e più un rizoma: non lineare, intrecciata, piena di entanglement imprevisti.
Se sei al primo anno, immersə nei testi e nel caos teorico, una Summer School può offrirti uno shock epistemico: ti espone a linguaggi che non avevi considerato, ad approcci che sembrano alieni ma stranamente familiari.
Se sei al secondo anno, lottando con la tirannia del metodo, una Summer School può diventare lo spazio in cui la metodologia smette di essere un protocollo rigido e inizia a diventare un luogo di gioco, trasgressione e possibilità.
Se sei al terzo anno e scrivi nel vuoto, cerca una scuola che non ti insegni solo a scrivere, ma a essere lettə—come costruire una voce accademica, entrare in un campo, o magari destabilizzarlo.
Le stelle accademiche che guidano una Summer School rappresentano un’opportunità, ma anche una domanda critica: quali canoni si stanno rinforzando? Quali immaginari si stanno centrando?
Scegli una Summer School non solo perché i suoi docenti sono nel tuo Zotero, ma perché sono intellettualmente impegnatə. Non si tratta di ricevere sapere in forma di dogma, ma di entrare in dialogo con esseri umani pensanti—ambivalenti, in trasformazione, a volte anche in errore.
Porre loro domande non è solo informativo; è performativo. È un modo per posizionarti in un discorso disciplinare, per disturbare—anche solo per un attimo—i flussi gerarchici del sapere.
Le Summer School spesso includono sessioni di revisione tra pari, presentazioni lampo o poster sessions. Ma non si tratta di “brillare” in 15 minuti. Si tratta di esposizione—del tipo vulnerabile.
Se sei in quel punto in cui le tue domande sono più complesse delle risposte che hai, è proprio il momento giusto per condividerle. L’atto performativo del presentare non serve a ricevere applausi, ma attrito. Quello di cui hai bisogno sono cenni silenziosi di riconoscimento, domande taglienti, interpretazioni inaspettate che aprono crepe nella tua certezza.
(Pro tip: lascia a casa la presentazione da 120 slide. Ti saranno tutti grati.)
La mobilità, ironicamente, è diventata un lusso nel discorso accademico sull’internazionalizzazione. Mentre l’università ti sprona ad “andare all’estero”, i fondi sono limitati, e lo sforzo—emotivo, cognitivo, ecologico—è reale.
Se navighi in condizioni di precarietà, cerca Summer School ospitate localmente o in Europa. Offrono ricchezza di scambi internazionali senza lo stress logistico degli spostamenti intercontinentali.
E ammettiamolo: alcuni dei terreni più fertili dal punto di vista intellettuale si trovano sotto gli ulivi del Sud Italia, non solo nelle aule grattacielo di Londra.
Leggi tra le righe. Una buona Summer School prevede pause—rituali del caffè, passeggiate lungo il fiume, risate improvvisate. Questi momenti non sono marginali. Sono infrastrutture affettive dell’apprendimento.
Nell’intimità effimera di pranzi condivisi e discussioni a mezzanotte, i confini disciplinari si dissolvono. Qualcunə condivide un fallimento, qualcun altro un’intuizione impubblicabile. Torni a casa non solo con strumenti, ma con storie—reti non di contatti LinkedIn, ma di rischi intellettuali condivisi.
Scegliere una Summer School è una scommessa: che, uscendo dalla routine, possa accadere qualcosa di trasformativo. Non perché la trasformazione sia garantita—ma perché hai lasciato spazio all’incontro.
Prepara i libri. E il costume da bagno. E magari, solo magari, una certa apertura al non sapere esattamente cosa imparerai—ma sapere che ne uscirai diversə.
Vai avanti, e leggi la Bussola per la Sopravvivenza Estiva della/del PhD che ho preparato per te 🙂
Juliana E. Raffaghelli
(Quel tipo di supervisor che propone le Summer School…)